A proposito del festival di Sanremo

Da tempo non lo vedo, anzi, non voglio vederlo e giro canale anche quando altre emittenti ne parlano. Da tempo si è capito che i messaggi contenuti nelle canzoni sono specchietti per le allodole per vendita di dischi e idolatria (in senso vero) dei personaggi: idolatria del sistema mediatico che produce business senza sosta.

L’occasione del festival coi suoi riti mi dà qui modo di fare una riflessione di come noi, noi tutti, stiamo vivendo il nostro Tempo.

Voglio affermare questo: il rito del consumo, in tutte le sue forme, ha preso il posto del rito religioso: la nuova sacralità che viene proposta dalla kermesse mediatica di Sanremo vorrebbe sostituirsi alla tradizione cattolica come già avevano lasciato intendere Max Weber e W. Benjamin, ma anche Pier Paolo Pasolini e attualmente lo studioso Luigino Bruni (anche se in tonalità diversamente dettagliate).

Lo stesso cristianesimo è stato, da tempo, rimpiazzato da una nuova religione coi suoi nuovi ‘riti’ (Non c’è religione senza riti).

Il nuovo ‘sacro’ è quello dei nuovi ‘riti’, quello senza dogmi, quello operativo, quello dell’idolatria del ‘non poter più farne a meno’, cioè del consumo, dove il consumatore (come anche la nuova teologia contemporanea ammette) è il nuovo dio di riferimento: non è più chi produce, ma chi consuma.

Un capitalismo (la nuova religione imperante in tutto il mondo) con la testa rovesciata (e non più in senso marxista). C’è un ribaltamento dei ruoli, e non c’è “il” nemico (visibile, colpevole dei bisogni del popolo), non c’è più un dio invisibile, che ci ricorda una ‘colpa’ da espiare, non ci sono più ‘sacrifici’, ma ‘benessere’ come finalità costante, e la morte come qualcosa da allontanare, il senso della vita come qualcosa da godere il più a lungo possibile, slegata dal senso.

Il nichilismo come qualcosa di accettato, la volontà di emergere, costitutivo dell’uomo, e la morale come qualcosa di inutile anzi dannoso poichè limitante la piena potenza dell’agire.

In questo panorama drammatico, pochi prendono posizione, poiché tutti ci stiamo convertendo alla nuova religione, con naturalezza, senza traumi, come qualcosa di accettabile, proprio perché sembra un’onda naturale, che segue il progresso.

La religione del transitorio come ‘assoluto’ e del consumo come realtà globale, pervasiva, unica di riferimento per la bussola del vivere. (Capitalismo di terza generazione).

Non ci accorgiamo che stiamo cambiando pelle e la nostra visione delle cose. I giovani sono più disattenti mentre gli adulti sono più consapevoli? Per niente! Ci sono adulti che hanno grosse responsabilità; presiedono alle decisioni che impattano sul vasto pubblico, proponendo continuamente occasioni di idolatria.

Come resistere a queste nuove “persecuzioni”?, perfino peggiori di quelle di 2000 anni fa, perchè più subdole (il maligno è furbo, ti convince che una cosa è buona, perfino buonista …).

Nessuno si pone alcuna domanda come ad esempio riguardo agli orari di fascia protetta, con programmi diseducativi quali il Grande Fratello o film violenti traumatizzanti per le giovani menti.

Si parla di ‘agenzie educative’ (famiglia, scuola, società sportive) ma dinnanzi a cose evidentemente diseducative non si fa nulla o quasi, o si ricorre a qualche timida protesta.

La vecchia religione appare consunta, priva di linfa, una bella scatola i cui riti non richiamano più, nel duplice senso, di creare comunità (il rito crea comunità) e di mantenere la presenza del sacro, come realtà vera che crea il vero riferimento per l’agire.

Ma il sacro è stato rimpiazzato dal ‘consumo’, che abbraccia tutto, anche il mondo della religione tradizionale. Tutto oggi è ‘contratto’ (e non più semplicemente ‘patto’, che è un qualcosa di più sentito, intimo, partecipato). Oggi il ‘do ut des’ è solo utilitaristico, deve avere una convenienza, non è più disinteressato, non è più ‘dono’ come invece nella religione tradizionale, nel cristianesimo (fede come dono, salvezza come dono). Nella religione idolatrica del ‘consumo’ c’è sempre un prezzo, anche se ‘scontato’. Non c’è ‘perdono’, ma c’è lo ‘sconto’, gli sconti sulla merce da consumare, il nuovo confessionale è dove è possibile avere la merce in sconto, dove non esiste pentimento, poichè il dio dell’idolatria consumista è lo stesso consumatore per il quale tutto viene organizzato, ed è al centro dell’attenzione della produzione neocapitalista e globalista, non rispettosa di nessuna tradizione religiosa sulla Terra. Non é più il ‘padrone’ e la ‘produzione’ il centro di orientamento (come nella religione marxista).

Il ‘mercato’ è la nuova ‘cattedrale’ del capitalismo consumista, i supermercati sono le nuove chiese, i ‘prodotti scontati’ sono le nuove ostie consacrate di cui cibarsi. E così, si potrebbe continuare, accennando ai nuovi sacramenti e liturgie della nuova religione del capitalismo consumista.

I cristiani forse se ne stanno accorgendo? Ma anche accorgendosene, di questa nuova pestilenza mortale (altro che covid!), non sembra che si diano molto da fare per impedire questo cancro nelle loro vite: troppo impegnati nelle loro quotidiane attività! E finisce per avverarsi l’apologo della ‘rana bollita’!

Cosa fare allora? Non farsi educare (dalla propaganda continua e suadente di una umanità felice e senza dolori, che arriva a produrre suicidio in chi constata il non-ritorno di tale menzogna), non farsi rubare da questa idolatria strisciante e purtroppo concreta. Se non si puó non essere ‘consumatori’, almeno non si consumi da idolatri!

Questo significa far fallire l’economia e il Pil nazionale? Sì, che fallisca “questo” tipo di economia disumanizzante! Infatti nelle culture dei popoli esistono tante diverse economie; ci stiamo accorgendo che imporre un’unica economia ‘globale’, cioè un unico modello per tutti è controproducente e produce anomalie a catena. Nuovi studi lo stando affermando.

Un altra possibile azione per contrastare l’idolatria del capitalismo consumistico è tenere spenta la tv in occasione di programmi antiumani, come i film di continua violenza, o il Grande Fratello (esempio poco imitabile di rapporti umani), o il festival di Sanremo (vetrina di vuotezze vendute invece come cultura, per un popolo ignorante, voluto tale per non abituarlo a ‘pensare’). Ci sono dirigenti Rai ed altre emittenti che inspiegabilmente danno l’assenso a spettacoli disgustosi e poi partecipano a servizi che parlano di ‘educazione’.

Diciamolo forte il nostro dissenso a questo modo di gestire la cosa pubblica. E se non basta ridiciamolo ancora più forte! Viene continuamente usata la propaganda per imporre anche in modo subliminare proposte di legge immorali (perfino nel mezzo di spot commerciali compiacenti, come quello di una notissima casa produttrice di dolci).

Abbiamo paura di esporci? Non vogliamo scontrarci con qualcuno? Se è così, significa che in fondo non crediamo ai nostri valori e già il liquame della “cosa” (come nel famoso film) ci sta inghiottendo!!

Come testimoniato da chi in Università fa ricerche, i giovani (che salvo pochi casi) non partecipano più ai “riti” in chiesa (ma a quelli dello ‘spritz’ al bar), trovano pochi esempi che possano convincerli a riprendere a respirare l’incenso.

Forse perchè chi crede nella fede in Gesù Cristo e non nell’idolatria consumistica non costituisce sufficientemente lampada “sopra il moggio”, perchè pensa di stare più comodamente al sicuro e con meno fastidi “sotto” il moggio. Come dice uno scrittore contemporaneo, oggi il maggior peccato è l’ignavia, l’indifferenza, o, se vogliamo, il ‘politicamente corretto’. Se qualcuno a Sanremo fa o gli fanno fare lo stupido o l’immorale, è perchè anche noi glielo consentiamo, con la nostra indifferenza.

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